Due parole sul lavoro di Cristina Rizzi Guelfi – Luca Sartini

Un’estate assassina. Un salto di troppo. Un odore di morte. Un corpo nudo che è troppo pieno per ribellarsi e ti fulmina il sesso. Un dislivello che t’irrigidisce. Una musica che non cede al lamento e alla rima di successo. Questo è foto. Questa è Vita. Questa è immagine
che sanguina ininterrottamente. Non è questione di forme o di equilibrio ma di Forma mentale e di sostanza che si libera per sempre, portando via l’ego e i suoi cascami. Tutta un’altra musica e un altro sguardo. Un altro vinile. Altri Tempi. Porte che si aprono o si chiudono, per sempre. Stagioni. Non verranno tempi migliori. Non ci saranno calcoli di comodo, non avrete bisogno di dentiere o di badanti, perché è l’apocalisse, il primo giorno e l’ultimo che vivrete. Così, niente rende più l’idea del buio e della luce, del bianco e del nero, dell’aurea mediocritas degli infiniti grigi quando parlano allo Spazio, facendo diventare una truffa ogni infinito. Niente è più feroce della passione di chi vi obbliga a guardare fino in fondo e a testimoniare lo stato delle cose, facendovi divorare dalla realtà. Non si fatica a fare arte, si fatica a smembrare un pezzo dal tutto, a respirare l’attimo senza piangere o ridere. Cosa vi aspettavate? Un allegro funerale? Una scopata memorabile? Il sorriso felice di un bambino dalla faccia sporca? Nelle fabbriche dei Sogni(Les fabriques des reves) di Cristina Rizzi Guelfi nessuno storce il naso. La fatica del seduttore non diventa amore. Il parto si interrompe. Il nulla danza e la morte c’è. La fuga è rimandata perché impossibile e il cuore e il corpo si arrendono o si sdoppiano, cercando parole, a mani nude. E’ la trincea. Si viaggia ad altezza di proiettile o ci si arrende senza mete o desideri. Meglio un pugno per farla finita o un cavatappi… Siamo tutti nella Messa che è finità da mo’, perché non ci sorprende, né ci illumina. Il prete, povero cristo, è emozionato quanto lo sfondo, il letto è sfatto per le notti in cui la pietà ci ha tenuto svegli e il sudario vola con le foglie dell’autunno, come portate dell’ultima cena e rimasugli di cibo. Sì, giarrettiere come paramenti sacri, panneggi che puzzano di sudore e sperma, finestre che si cercano aperte e non si trovano.
Le puttane vogliono uomini da amare, gli uomini cercano voragini che il denaro non paga. La fotografa “addolcisce” le memorie e cerca radici, colpe, genealogie. Siamo tutti molluschi in questo mare di occasioni mancate. Qui, il panneggio rotea nell’aria ma Cranach e Masaccio non offrono consolazione. Un culo splendido nel suo biancore e perfezione, dei calcagni caravaggeschi, una gambia piegata e coperta, un gesto di una mano sottile che slaccia la felicità o l’ingabbia, un’ombra grande come l’uomo nero delle fiabe, nulla più.
Tanta solitudine da carta da parati un po’retrò che ci parla dell’identità e di crisi. Di un’identità che somiglia a uno sbadiglio. Cristina Rizzi Guelfi si assenta, portando via un pezzo della sua/nostra vita. La boxe è iniziata ma non è in tv, è nei nostri occhi.
Luca Sartini
(Milano, 30/10/2013)

Cristina Rizzi Guelfi

Cristina Rizzi Guelfi

LA POETICA DEL CORPO NUDO di Emiliano Rinaldi

Svariate le sfaccettature nell’uso del nudo nella fotografia. Inizialmente utilizzato da pittori e scultori per sopperire agli elevati costi della posa di modelle dal vivo, col Pittorialismo, tentativo della fotografia di imitare la pittura, il corpo svestito si trova inserito in ambientazioni dal sapore mitologico e arcadico. Sul finire dell’800 ecco che il corpo si fa anche simbolo della salute da esibire, manifestazione della “cultura fisica” secondo la definizione di Edmond Desbonnet (1867 – 1953), che non disdegnava di posare privo di abiti esibendo la propria prestanza fisica, il corpo come mezzo per pubblicizzare l’attività delle sue palestre. E ancora: ode alla sensualità, in special modo femminile, fino all’odierna banalizzazione del corpo della donna nella sfrenata rincorsa all’erotizzazione a tutti i costi. Dalla seconda metà del XX secolo si afferma anche un ulteriore uso, che va oltre la provocazione, la semplice esibizione più o meno pruriginosa di pelle o la mera armonia compositiva: il corpo nudo può essere caricato di significati politici, sociali, polemici. Il corpo diventa un mezzo per veicolare messaggi.
Donatella D’Angelo utilizza il proprio corpo creando un personale quanto ricercato, ma non banalmente estetizzante, linguaggio, utilizzando abilmente i tempi di posa lunghi: ponendo sé stessa dinnanzi all’obbiettivo della macchina fotografica ci dimostra che l’autoritratto non è necessariamente una forma di narcisismo, come possono essere le celebri polaroid con cui Toto Frima immortala ossessivamente il proprio corpo, ma un processo di introspezione, la fotografia come finestra aperta sui sentimenti più profondi, sui malesseri, sui disagi e le insoddisfazioni che celiamo nella nostra anima e che non siamo in grado di esprimere a parole.
Il mezzo fotografico diviene uno strumento per esorcizzare i propri demoni. Chi si soffermerà sulle foto di Donatella D’Angelo non vedrà solamente il desiderio di riscatto dell’autrice, ma si troverà posto dinnanzi a uno specchio: perché tutti siano, più o meno inconsapevolmente, schiacciati da un senso di insoddisfazione e alienazione, figlio della spersonalizzante civiltà contemporanea da tempo non più a misura d’uomo.

Donatella D'Angelo & Josè Lasheras

Donatella D’Angelo & Josè Lasheras

23 NOVEMBRE 2013
presso MACAO
viale Molise 68, Milano

il Collettivo WSF presenta

LA POETICA DEL CORPO, IL CORPO POETICO
Mostra fotografica e reading poetico
con aperitivo e musica, dalle 19.00

Fotografie di: Donatella D’Angelo & Josè Lasheras, “Los respiros del Alma”, – Cristina Rizzi Guelfi, “La fabrique des rêves”

Poesie di: Sebastiano Adernò – Paolo Aldrovandi – Daniela Cattani Rusich – Roberta D’Acquino – Nino Iacovella – Ksenja Laginja – Lucia Grassiccia – Sebastiano A. Patanè Ferro – Barbara Pinchi – Valeria Raimondi – Antonella Taravella – Davide Valecchi – Paolo Zanelli

Al pianoforte: Alessandro Pavesi

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Emiliano Rinaldi conduce attività artistica coi modi della fotografia concettuale (Un giorno come un altro a Ferrara, La lunga Notte, Cappuccetto Rosso contro Barbablù, Piccola geografia della Memoria, In porn we trust). In collaborazione col Centro Etnografico Ferrarese ha curato la supervisione editoriale de La fortezza degli uomini perduti (2011), monografia dedicata al fotoromanzo sperimentale e con Roberto Roda la mostra fotografica a circuitazione nazionale Ai margini della realtà, esercizi di fotografia concettuale liberamente ispirati a Blow Up di Antonioni (2013). Autore con Antonella Iaschi del volume Piccola geografia della memoria: appunti di iconografia sismica (Festina Lente Editore, dicembre 2013)

ESSERE NEL CORPO VIVO – Roberto Agostini

Se il corpo esiste, come nelle foto artistiche di Batsceba Hardy, Donatella D’Angelo e Josè Lasheras riuniti qui a testimoniare un’idea creativa e il processo di realizzazione, ha anche un interno. E l’immaginazione fotografica può coglierlo, meglio del tratto di disegno o del dipinto.
La foto brucia l’istante come una radiografia e come un’architettura sovrappone i piani, mentre poeticamente dice qualcos’altro rispetto al reale. È il potenziale del corpo, la sua trasparente immanenza, che salga una scala, riposi sul letto o diventi fibra vegetale, come alcune di queste pose suggeriscono e fissano pienamente per l’osservatore.
Questo modo di entrare nel corpo vivo con la percezione, lasciandolo fluttuare, inseguendolo, raddoppiandolo, perfino appendendolo, ha il ritmo del rito, quasi che tutt’e tre gli artisti si fossero posti il problema di ri-sacralizzare quel che la società attuale ha irrimediabilmente banalizzato, quindi reso di serie, intercambiabile, esteriorizzato nel nulla: il corpo della pubblicità femminile o delle modelle.
Qui notiamo anche il corpo maschile, compagno presente in alcuni scatti diventa controparte di una relazione più profonda, eseguita in modo consapevole, politico. Quando è solo il femminile a parlarci, si anima, danza, si duplica, in un moto di potenziamento e ri-posizionamento. Voglio dire che mai il corpo è visto per quel che è. Quindi non può neanche essere usato, e così mi sembra indicato un percorso di non strumentalizzazione: le due fotografe, Donatella e Batsceba, e il fotografo Josè, diventano anche modelli di se stessi per non farsi rapire, quasi trattenendo la propria immagine per una ripulsa della serializzazione meccanica, verso la spiritualizzazione di sé, un sé totale.
Qualcosa succede anche nei colori di Batsceba e nelle penombre di Donatella e Josè: il colore riveste e svela la trama del corpo. La penombra fa risaltare le forme, dialoga con esse. La padronanza tecnica ha un’importanza ragguardevole per l’ottenimento di questi risultati. Lo stesso desiderio di lavorare in modo non convenzionale, attraverso sapienti preparazioni dello scatto e digitalizzazioni, dice che siamo di fronte all’immagine del corpo contemporaneo, ma estratto dal consumo, ricreato e esibito nell’unica forma cui oggi possiamo aderire: il corpo complesso, espressionista, surreale, cubista.
Perciò queste immagini rendono anche omaggio alle avanguardie e allo sguardo significante che introdussero nel secolo scorso e da allora continua a vibrare. Batsceba, Donatella e Josè hanno ripreso questo filo, nel loro richiamo al corpo-dell’arte.
Quanto emerge dalla dialettica di corpo-anima, corpo-ambiente, corpo-spettatore. Sentimento interiore al femminile e (talvolta) al maschile. Provocazione ideale più che sensuale. Promozione di una cultura avvolgente, consapevole.

Roberto Agostini

Batsceba Hardy

Batsceba Hardy

 

Donatella D'Angelo&Josè Lasheras

Donatella D’Angelo&Josè Lasheras

“La poetica del corpo & Il corpo poetico”

Festival delle arti 2013 – Sacca Fisola e Giudecca, Venezia
Venerdì 13, sabato 14, domenica 15 settembre 2013
circolo R. Nardi, Giudecca (VE), Calle dei Spini 432
http://www.circolonardi.it/chisiamo.html

Venerdì 13 – ore 15.00
Inaugurazione mostra fotografica di Donatella D’Angelo/Josè Lasheras e Batsceba Hardy

Domenica 15 – ore 18.30
Reading poetico maschile con la presenza di Paolo Aldrovandi, Andrea Lucheroni,
Sebastiano A. Patanè e Antar Marincola, a conclusione dell’evento.

sito: http://www.festivaldelleartigiudecca.org/wordpress/progetto-la-poetica-del-corpo-il-corpo-poetico/